3 RIFLESSIONI PER NOI UOMINI
- Francesco Bianchi
- 1 giorno fa
- Tempo di lettura: 3 min
“Nessuno è innocente se crede di dover rispondere solo di sé”.
Molti uomini, di fronte ai casi di violenze di questi giorni, si sono affrettati a dire: “io non sono come loro”. In pochi, però, si sono sentiti in dovere di prendere su di sé la responsabilità del cambiamento necessario.
La fame diffusa di punizioni esemplari, di castrazioni chimiche, di violenze nelle carceri per i colpevoli nasconde spesso l’idea - falsa - che non sia possibile educare gli uomini. Che questi, al massimo, possano essere frenati o castrati, ma mai cambiati.
Che siano, cioè, del tutto incapaci di controllo e autodeterminazione (“al punto da dare la colpa alla madre di ogni azione compiuta anche in età adulta”).
Ma questo non è vero: il cambiamento è possibile, anche se lento e faticoso.
Di fronte a un’ingiustizia che accade davanti ai propri occhi, se si ha la possibilità di agire concretamente non bisogna limitarsi a prendere le distanze.
Si deve agire.
Agire, cioè, tra uomini nel proprio luogo di lavoro, con gli amici, con i parenti, un gesto e un discorso alla volta.
Non si è colpevoli dei fatti compiuti dagli altri ma si è responsabili del proprio impegno di sensibilizzazione.
Perché riconoscere e risolvere i problemi del sistema di potere che si abita è un dovere civile, che cresce in proporzione ai propri privilegi."
fonte pagina rivista Tlon
Essere un guastafeste non è una colpa, è un atto di coscienza.
In ogni gruppo di uomini c’è un momento in cui la risata copre la paura,
la complicità si trasforma in alleanza col potere,
e il silenzio diventa la vera violenza.
Lì, il guastafeste è necessario.
È colui che non ride, che si ferma, che dice: “No, non va bene.”
Accetta il guastafeste che è in te: è la parte che ancora sa distinguere tra appartenenza e complicità, tra cameratismo e fratellanza.
È la voce che incrina la leggerezza della battuta,
che rompe il mood predatorio del branco,
che introduce il dubbio nella sicurezza virile.
Non ti farà popolare, ma ti renderà libero.
La sagra del patriarcato è lunga e rumorosa: ha sempre bisogno di musica alta per coprire le crepe.
Tu non devi distruggere la forza con la forza: spegni la musica, accendi la luce, mostra ciò che resta quando quel divertimento finisce.
Essere guastafeste non è stare contro gli altri uomini, è stare fuori dal copione.
È rifiutare l’applauso della normalità, disertare la risata obbligata, rinunciare alla comunione del disprezzo.
È restituire senso alle parole, dignità ai silenzi, verità agli sguardi.
Essere guastafeste è il primo passo per non essere più spettatore.
È la presa di parola che interrompe il flusso, la frattura che apre lo spazio del possibile.
Non serve gridare, se non te la senti: basta non partecipare.
La rivoluzione, oggi, comincia da ogni uomo che rovina la festa.
GIROLAMO GRAMMATICO
"Il consenso non è una firma sul corpo dell’altro.
È una lingua che si parla in due, e si impara tutta la vita.
Si impara presto, o dopo è più difficile:
quando il bambino chiede e non pretende,
quando l’adulto ascolta invece di interpretare,
quando il “no” diventa occasione di rispetto e non di offesa.
Il consenso è la prima grammatica della libertà condivisa, la base di una nuova cittadinanza affettiva.
L’amore romantico ha insegnato a obbedire sorridendo, a dire “sì” per paura, a confondere il desiderio con la devozione.
La violenza, allora, non comincia con lo schiaffo:
comincia quando il silenzio di una donna viene tradotto come consenso.
Nel patriarcato, l’uomo deve volere, la donna deve concedere.
È un copione antico: lei desidera essere scelta, lui teme di essere rifiutato.
Così il “no” diventa un affronto, il “sì” un obbligo, e il consenso un riflesso del potere.
Il consenso non è un contratto, è un incontro.
Non è la fine della seduzione, ma la sua condizione di libertà.
Non è una regola da rispettare, ma una pratica da esercitare: chiedere, ascoltare, verificare, accogliere.
Dire “no” non è rompere l’intimità: è salvarla.
Accettare il “no” non è perdere, è riconoscere l’altro come libero.
Il consenso non è la fine del desiderio, è la sua verità.
Chi vuole disimparare la violenza deve imparare a stare nel vuoto del rifiuto.
A non riempirlo con il risentimento, a non leggerlo come umiliazione.
Perché l’amore, senza libertà, è solo una forma più di dominio.
Solo un uomo che sa fermarsi può davvero incontrare qualcuno.
Solo chi sa accogliere la distanza può conoscere la vicinanza.
Solo chi accetta il limite può dire, finalmente, sì.
[Breve e incompleto
MANIFESTO DELLA MASCHILITÀ CONTRO LA VIOLENZA]
Girolami Grammatico Linkedin
"Francesca Pieri mi ricorda di quando dite quella frase agghiacciante: "Se lo facessero a mia madre o a mia sorella".
Il sangue, il cortiletto tuo, le donne tue, il sangue del tuo sangue, le altre al limite...
C'è tutto, il mostro è lì, se proprio ci tenete a guardarlo." Dina Giuseppetti






Commenti